Ad un anno dall’invasione russa, il teatro di guerra ucraino produce sempre più sangue e distruzione, mentre diviene sempre più minacciosa l’ombra di un’entrata in campo delle armi nucleari. I due veri protagonisti della guerra – la Russia e la NATO – sembrano muovere passi lenti ma sicuri verso il precipizio. Fatte le dovute proporzioni tra un imperialismo regionale come quello russo ed un imperialismo planetario come quello degli USA (che comandano la NATO), i due soggetti hanno in comune due cose fondamentali: sono due grandi potenze nucleari e sono due imperialismi in decadenza. La Russia dello “Zar” Putin riesce con sempre maggiore difficoltà a mantenere il suo dominio oppressivo sui residui dell’impero sovietico che fu, mentre gli USA vedono la loro leadership mondiale sempre più messa in discussione dall’ascesa della potenza cinese. E’ questa loro decadenza, accompagnata dalle testate atomiche che posseggono, a rendere entrambi particolarmente pericolosi per la sopravvivenza della specie.
Da parte sua il buffoncello di Kiev, Zelensky, svolge con grande zelo il ruolo a lui predestinato in commedia: non è riuscito a sbarcare a Sanremo, e soprattutto non riesce ancora ad ottenere da Biden i missili con raggio di 300 chilometri (che gli consentirebbero di colpire in territorio russo), ma è comunque riuscito – di pacchetto in pacchetto di armi – a indebitare con l’occidente l’Ucraina tanto da rendere risibile quell’indipendenza del suo paese per cui chiede le armi.
In Italia siamo dentro fino al collo a questo “guaio”. Eravamo di fatto in guerra con il governo Draghi, lo siamo ugualmente o di più con il governo Meloni che continua, non ne dubitavamo, con l’invio di armi al governo ucraino. Purtroppo, nonostante il gravissimo pericolo che stiamo correndo, e nonostante che la maggioranza degli italiani sia contraria all’invio di armi, la risposta del movimento antimilitarista e pacifista è stata, in questo anno di guerra, molto debole. Su questa fragilità hanno pesato diversi fattori: sicuramente la debolezza generale dell’opposizione sociale, e forse anche la memoria lunga del 2003, quando milioni di persone, scese nelle piazze di tutto il mondo, non riuscirono a fermare la guerra in Irak. Ma pesa anche la specifica geometria di questa guerra e del modo con cui, rispetto ad essa, si sono collocate le diverse anime dello schieramento che tradizionalmente scende in campo contro le guerre. Si sono registrati da subito atteggiamenti molto diversi nei confronti delle diverse parti in guerra, che hanno creato piccoli o grandi fossati tra soggetti organizzati, ma, in qualche caso, anche all’interno delle singole aree politico-culturali.
Senza entrare in dettagli, possiamo distinguere, per grandi linee, tre grandi aree di posizionamento, a loro volta composite: – un’area che partendo dall’oggettiva invasione da parte del governo russo, nega o mette in secondo piano il ruolo della NATO e degli USA nel preparare il conflitto, rifiuta un atteggiamento equi-avverso alle due parti, e arriva talvolta ad assumere una non netta contrarietà dell’invio di armi all’Ucraina; – un’area che attribuisce alla NATO e all’occidente la pressoché totale responsabilità della guerra e tende a giustificare la “reazione” di Putin, (è un’area che comprende ma non si esaurisce nei sostenitori dell’improbabile “socialismo” delle repubbliche russofile del Donbass); – un’area estremamente composita e piena di sfumature che grossolanamente può esser considerata equi-avversa alle parti in guerra.
Questa “articolazione” – per usare un eufemismo – del campo largo dei movimenti ha contribuito non poco all’immobilismo. Si è avvertita talvolta la sensazione di una difficoltà non solo ad agire, ma persino a discutere sull’argomento “guerra in Ucraina”, per paura delle contraddizioni interne.
E’ in questo quadro generale che si è inscritto il difficile tentativo di organizzare, a Pisa, una piazza contro la guerra che fosse la più unitaria possibile, in occasione del primo anniversario dall’invasione russa dell’Ucraina. Non certo una piazza che mettesse insieme tutti, cioè l’inconciliabile: dal sostenitore dei russofili del Donbass a chi in fondo le armi all’Ucraina gliele vuol mandare; bensì una piazza che unisse, pur nelle loro importanti differenze, tutti coloro che si sentono sostanzialmente equi-avversi ai due imperialismi in campo e che vogliono costruire un movimento contro la guerra, senza se e senza ma, che abbia al centro la mobilitazione di massa, l’azione non delegata, l’antimilitarismo. Così alcune realtà interne al Movimento No Base, insieme ad altre realtà esterne ad esso, hanno tentato, riuscendovi, di costruire un appello che convocasse una piazza di lotta per il giorno 25 febbraio. La scelta del 25 febbraio è stata determinata dal fatto che il giorno 24 (vero anniversario della guerra) c’è il corteo contro la guerra a Livorno organizzato dal Coordinamento contro le Missioni Militari all’Estero. Dunque l’appuntamento di Pisa sta nell’ottica di una due giorni contro la guerra in un territorio come quello pisano-livornese tra i più militarizzati d’Italia. L’appello pisano per il 25 febbraio è stato firmato da forze varie: dal Circolo Anarchico di Vicolo del Tidi fino a Greenpeace, passando per i Cobas, la CUB e Rifondazione Comunista, per citarne solo alcune. Al di là della necessaria e giusta mediazione tra i diversi linguaggi, l’appello contiene i punti che come compagni anarchici e libertari ritenevamo essenziali: il no secco all’invio delle armi, la condanna di entrambi i militarismi (Russia e NATO), il pieno sostegno ai disertori di entrambe le parti, il ritiro delle missioni militari all’estero dell’Italia, la demilitarizzazione del nostro territorio.
Claudio Strambi